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31 Gennaio 2014
“Troppi ungulati: è a rischio la tenuta dei boschi aretini”

I presidenti di Coldiretti, Cia e Confagricoltura:  “Serve un piano straordinario per riportare la densità della fauna selvatica in equilibrio con il territorio visto che oltre il 55% del terreno della nostra provincia è composto da aree verdi e boschive”
Arezzo. Zona Rondine. Bosco. O meglio, come si vede dalla foto, quello che ne resta dopo la devastazione dei cinghiali. Terreno boschivo che sembra reduce da un bombardamento, sottobosco inesistente, quindi danni gravissimi sia al legname sia al terreno, ma anche alla situazione idrogeologica e alla possibilità di produzioni gastronomiche legate alle piante del sottobosco: per capirci, addio mirtilli.
L’allarme, fortissimo, lo lanciano le associazioni del mondo agricolo, Coldiretti, Cia e Confagricoltura, con un raggio ancora maggiore, perché stavolta il problema non riguarda soltanto la parte di produzione agricola classica “anche quella massacrata”, ma proprio “lo stato del terreno, del bosco collinare, reso di fatto pericoloso dalla presenza di un numero di ungulati, in particolare cinghiali e caprioli, assolutamente fuori controllo ed eccessivo, tanto da procurare vere e proprie frane e frantumazione degli argini dei torrenti, con conseguenze gravi sull’intero ecosistema”. A parlare così è, a nome di tutti gli altri, dei tanti agricoltori in difficoltà, è Francesco Dragoni, imprenditore agricolo che possiede un’azienda strutturata, con vigna “anche questa di fatto mangiata dai cervidi”, olivo, seminativi e bosco. Di fatto anche i boschi attorno ad Arezzo si trovano con un densità tale di fauna che “ha superato - come spiega un tecnico forestale che tutti i giorni vive questa esperienza -  la capacità portante dell’ecosistema”.
Allarme gravissimo, quindi. Quello lanciato dalle associazioni agricole se si tiene conto che Arezzo ha 169.920 ettari di aree verdi o boschive, che supera, come si vede nella tabella allegata, il 55% del territorio della nostra provincia con più di 270 aziende boschive. (Fonte ISTAT: Percentuale di utilizzo del suolo per provincia in Toscana).
In parole povere - e questo secondo le associazioni dovrebbe quindi far sposare la causa anche agli ambientalisti -  il numero degli ungulati anche nelle aree boschive, luogo naturale della loro presenza, è abnorme rispetto a quello che sarebbe corretto, e “quindi il danno - spiega il mondo agricolo - qui non è tanto all’agricoltura, quanto all’ambiente stesso, al territorio, alla gestione delle acque, con rischi di frane, esondazioni e crolli causati dalla cancellazione del sottobosco e dalla sempre maggiore difficoltà a far ricrescere anche gli alberi. “Non vedo più crescere una quercia da anni” – spiega ancora lo sconsolato Dragoni – la cui azienda è esemplare delle difficoltà enormi causate appunto degli ungulati.
Qualche dato generale: da anni assistiamo ad un aumento esponenziale della densità di cinghiali, caprioli, daini e cervi, predatori ed altre specie che invadono letteralmente le campagne toscane. Dal Duemila ad oggi cinghiali e caprioli in Toscana sono raddoppiati. Si contano oltre 400.000 ungulati e un numero crescente di predatori, che impediscono agli agricoltori di produrre, danneggiano i boschi e l’ambiente, provocano incidenti alle popolazioni. E sì, perché ormai la densità dei cinghiali è a livelli spaventosi: per ogni 100 ettari di territorio ci sono in Toscana almeno 20 cinghiali, mentre il Piano Faunistico Regionale prevede 0,5-5 capi ogni 100 ettari. All’enorme numero di cinghiali si aggiunge un numero quasi uguale di caprioli, in costante aumento. Per ogni agricoltore ci sono ormai 5 capi ungulati, un carico quasi raddoppiato in cinque anni. 10 milioni di euro di danni produttivi sono stati accertati dagli ATC negli ultimi 5 anni, ma i danni economici ed imprenditoriali sono in realtà assai superiori.
“Occorre – spiega il presidente di Coldiretti Arezzo, Tulio Marcelli, un’azione decisa per attuare entro il  2014 gli obiettivi del Piano Faunistico Regionale, un Piano straordinario per riportare la presenza e la densità della fauna selvatica e dei predatori in equilibrio con il territorio, con  interventi di contenimento della fauna selvatica nei parchi e nelle aree protette e una profonda revisione delle normative comunitarie, nazionali e regionali, a partire dalla Legge 157/92, per tutelare la biodiversità e dare certezze a operatori agricoli e cittadini”.
Le tipologie di danno apportate dagli ungulati sono estremamente gravi quando avvengono negli impianti boschivi di tipo produttivo, come per esempio gli impianti per legname da opera, poiché tanto la morte delle piante quanto il deprezzamento commerciale degli assortimenti mercantili per la lavorazione industriale determinano ingenti danni economici. Ulteriore tipologia di danno è rappresentata dalla brucatura di giovani germogli. Praticamente tutte e tre le specie di ungulati possono brucare sistematicamente i germogli che si sviluppano dalle ceppaie dopo il taglio.
“La conseguenza – come spiega lo studio “Stime danni alle colture agricole e forestali causati dalle principali specie di ungulati selvatici” del dott. Giancarlo Ricci  - è spesso la morte delle ceppaie e comunque sempre uno sviluppo ritardato dei polloni senza distinzione tra quelli dominanti e non. Nel caso di tagliate di piccole dimensioni e in caso di elevatissima pressione dei cervidi, questi possono brucare i polloni delle ceppaie anche per tre anni di seguito, come più volte riscontrato in zone dell’Appennino”. I cinghiali, poi, “si strofinano alla base del tronco sino a ‘sbucciare’ completamente la pianta, spesso provocandone la morte, mentre daini e caprioli sfregano le proprie corna sul fusto provocandone ferite longitudinali e deprezzando così particolarmente la qualità del futuro tronco per usi industriali come legname d’opera”.

Fonte ISTAT: Percentuale di utilizzo del suolo per provincia in Toscana

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